(L’immagine originale è stata realizzata da Anthony Cheung, del Chen Tai Chi di Brisbane. La traduzione italiana è stata realizzata dalla Accademia ShierLi. Gli autori hanno autorizzato il Tai Chi Como alla riproduzione)
Mese: Febbraio 2018
(L’immagine originale è stata realizzata da Anthony Cheung, del Chen Tai Chi di Brisbane. La traduzione italiana è stata realizzata dalla Accademia ShierLi. Gli autori hanno autorizzato il Tai Chi Como alla riproduzione)
L’insegnante consiglia con la sua voce sussurrata il miglior modo di eseguire l’esercizio. Come scaricare il peso nei piedi, come raddrizzare la colonna, cosa fare e cosa non fare.
Si sta in silenzio, concentrati e assorti. Si ascolta il corpo. Lo si lascia parlare e anche se all’inizio sembra muto, poco a poco si avverte il suo linguaggio silenzioso, appena appena, dietro gli sforzi dei muscoli.
Dopo un po’ mi guardo in giro, con la coda dell’occhio e vedo i miei compagni di pratica. Davanti a me un capello bianco (come il mio), una schiena curva, una pancia prominente… Un piccolo esercito che ha più di qualche anno sulle spalle. Qualche giovane c’è, ma sono pochi quadrifogli in un prato. Ogni tanto i giovani vengono a provare, a informarsi curiosi. Pochi si fermano. Una domanda si formula spontanea nella mente … Ma il Tai Chi è una faccenda da vecchi?
Mi viene in mente un collega, ignaro del fatto che praticassi questa disciplina che una volta, durante una chiacchierata in pausa caffè se ne uscì con un “…come i vecchietti che trovi a praticare Tai Chi nei parchi” … I “vecchietti”? Evitai di dirgli “ehi…sorpresa! Ne hai uno davanti!” Insomma roba da vecchi? La vogliamo mettere nell’immaginario popolare tra le attività dei senior, assieme alle bocce, alle balere e ai discorsi sui nipoti e sui reciproci malanni? E perché questa idea?
Si pensa al Tai Chi come ad una disciplina a basso impatto fisico. I medici, i fisioterapisti la consigliano quando le membra si bloccano, quando emergono i primi dolori, quando allacciarsi le stringhe diviene una piccola conquista. La si vede come una disciplina potenzialmente benefica ma sostanzialmente innocua. Una camomilla, un brodino tiepido per corpi ormai fiaccati ed incapaci di sfide maggiori. Se sei giovane e “in forma” allora puoi spaccarti la schiena sui pesi, andare a correre, giocare a tennis, fare “body-pumping” e tante altre discipline dai nomi “fighi” e alla moda. Invece, quando il tuo corpo è scoppiato, andato, malandato e non sei più in forma non ti rimane che il Tai Chi. Una stampella, l’ultima spiaggia prima di trasformarsi in soprammobili in cui inciampare, appena un passo prima del ricorso ai terribili ausili alla mobilità che fanno inquietante mostra di sé nelle vetrine delle ortopedie… Ma è davvero così? Un cinquantenne che pratica Tai Chi è da considerarsi una giovane promessa dei team giovanili? Un virgulto tra gli altri vegliardi? Osservo i miei compagni praticare e, diamine, la risposta alla domanda è un deciso “no!”. L’illusoria idea che per far bene al corpo occorra sfiancarne i muscoli, schizzare sudore, tutta occidentale, è davvero fondata? Dei bei pettorali, una tartaruga di muscoli scolpita, dei tricipiti pieni e tonici sono davvero la massima ambizione per un corpo sano? O è solo l’ennesimo stereotipo che ci propinano i media, come la plasticosa e tirata bambolaggine di certe bellezze femminili che spopolano in tv? Non sono un frequentatore di palestre o un esperto di fitness però qualche personale dubbio sui benefici a lungo termine di queste modalità di potenziamento del corpo ce l’ho. Non fosse altro per avere visto alcuni di questi “sportivi” sventolare bandiera bianca quando l’età avanza.
Ben diversa è la via del Tai Chi. Lo scopo non diviene accumulare muscoli e potenza ottusa ma lavorare dentro. Il cultore dei muscoli lavora sull’esterno e confonde salute con apparenza. È come chi acquista un veicolo dalle linee dinamiche e aggressive e ne lucida instancabilmente la carrozzeria fino a farla brillare e risplendere.
Il cultore di Tai Chi invece non ha così tanto a cuore la carrozzeria. Il suo interesse è per quello che c’è dentro, per la sostanza, il motore. Controlla gli ingranaggi, verifica i sottili fili e i collegamenti che rendono le parti un insieme, permette al lubrificante e al combustibile di scorrere liberamente.
La prima macchina, quella lucidata a specchio a un certo punto, dopo un bel po’ di strada, inizierà ad arrancare e il motore a perdere colpi. Si rivelerà per quello che è, un guscio vuoto destinato ad essere presto rottamato. La seconda rimarrà in efficienza. Così il giovane atleta, tutto concentrato sulla potenza del suo corpo ha già scritto il suo declino. In poco tempo raggiungerà l’apice della sua performance e poi il meglio sarà sempre alle spalle. L’attempato cultore di Tai Chi invece migliorerà con il proseguire della sua pratica, assieme alla conoscenza del suo corpo. Il meglio sarà sempre davanti. Ma allora perché i giovani seguono poco questa pratica? Forse perché non è una pratica da vecchi, bensì è una pratica da saggi e la saggezza è da sempre associata ad una età più avanzata. È un lungo cammino che non promette risultati prima di molto, molto tempo. Iniziamo a seguire il sentiero senza sapere quando strada dovremo fare prima di renderci conto di esserci allontanati da casa. Peccato! Chi più dei giovani trarrebbe vantaggio dall’iniziare precocemente? Il Tai Chi non è pertanto una disciplina per vecchi, è una disciplina per chi sa aspettare e coltivare.
Mario, Febbraio 2018
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(L’immagine originale è stata realizzata da Anthony Cheung, del Chen Tai Chi di Brisbane. La traduzione italiana è stata realizzata dalla Accademia ShierLi. Gli autori hanno autorizzato il Tai Chi Como alla riproduzione)
(L’immagine originale è stata realizzata da Anthony Cheung, del Chen Tai Chi di Brisbane. La traduzione italiana è stata realizzata dalla Accademia ShierLi. Gli autori hanno autorizzato il Tai Chi Como alla riproduzione)